mercoledì 9 novembre 2011

Quando a Biancaneve piaceva la matematica

Chi ha definito intelligenti le armi esplose nelle guerre dell’ultimo ventennio ha deciso di esibire le insegne celebrative della ragione umana anche sulle forme panciute di una bomba. Scelta infelice se è vero che, pur  rombando coi motori del raziocinio, gli ordigni si sono abbattuti ugualmente e con impressionante frequenza su ospedali e  civili.
Chissà cosa ne avrebbe pensato Alan Turing di questa tecnologia che, mentre si fregia di caratteristiche umane, mostra i segni insorgenti dell’istintualità più primitiva, quella che conduce all’autodistruzione. Lui che spese la vita per sciogliere i nodi dell’intelligenza umana e che fu l’unico, nel pieno della ferocia della seconda guerra mondiale, a creare delle bombe veramente intelligenti.

Nel 1940, infatti, Alan Turing era un giovane matematico arruolato in una squadra di tecnici, scienziati ed ingegneri riunita a Bletchley Park, nella campagna londinese, con un compito ben preciso: decifrare i messaggi radio dei nazisti.  La Germania, ormai da diversi anni, utilizzava per le proprie comunicazioni militari una macchina cifratrice inattaccabile, detta Enigma, basata su un complesso sistema di rotori, lampade e tasti in grado di produrre diversi miliardi di combinazioni.
L'Enigma
Gli inglesi riuscirono a violarne il codice proprio grazie ad Alan Turing, un personaggio eccentrico, noncurante delle convenzioni ed omosessuale dichiarato. Turing aveva trascorso una adolescenza complicata, nella rigida Inghilterra vittoriana. La matematica pura era diventata il suo codice per accedere al territorio dell’indipendenza dalla cose umane. Lo affascinavano il carattere immateriale dei numeri primi e il gioco degli scacchi ed era attraversato da lampi di intuizione che ne illuminavano il genio. Pur essendo giudicato poco più di un disordinato pasticcione dai suoi professori, raggiunse indipendentemente e quasi da autodidatta la dimostrazione di teoremi di matematica superiore. All’Università di Cambridge, dove conseguì il dottorato, nella storica divisione degli studenti tra esteti ed atleti, faceva parte a sé. Non praticava sport (ma in seguito avrebbe corso la maratona con tempi olimpici) e non si interessava di politica attiva. Aveva grande dignità di sé e non riusciva a sottomettersi ai numerosi rituali accademici, che non approvava. Quando entrava in confidenza con qualcuno non faceva mistero della propria omosessualità e per questo finiva per essere isolato. Nella sua logica binaria del tutto o niente, voleva essere accettato per quello che era. Un rischio non da poco  in un mondo in cui la questione omosessuale veniva, semplicemente, taciuta. Era, insomma, un timido che si era creato una magnifica e dolente autosufficienza, come quei bambini che giocano per ore da soli e, persi nel loro gioco, finiscono per non prestare orecchio all’arrivo di una vecchia zia cerimoniosa. Non potendo essere un ribelle affrontava quel mondo formale eludendolo e senza opporvisi apertamente, se non con qualche eccentricità, come accogliere i suoi studenti con l’orsacchiotto che si era fatto regalare per un Natale dei suoi 20 anni.

Alla fine degli anni ’30 pubblicò a suo nome "On computable Number”  un articolo che dava risposta ad uno dei problemi di matematica rimasti insoluti elencati da Hilbert. Scoprì di essere arrivato ancora una volta secondo (Alonzo Church lo aveva  preceduto di pochi mesi), ma lo studio conteneva la prima ipotesi di una macchina universale che, adeguatamente istruita, avrebbe potuto eseguire compiti normalmente realizzati del cervello umano. Lo sguardo infantile di Alan si era posato sul problema filosofico – matematico delle macchine capaci di manipolare i simboli e in grado di comportarsi in automatico su una tavola di comportamenti di dimensioni finite. Paragoni tra cervello e macchine, in verità, ne esistevano a dozzine, ma Turing aveva per la prima volta intrapreso l’avventurosa ipotesi sul calcolatore umano, gettando un ponte tra la matematica astratta pura e il reale. Al momento la questione restava nel mondo filosofico, ma sarebbe entrata presto nel mondo pratico con la violenza di milioni di morti. Fino al 1940 la strada della libertà che aveva scelto Turing non era l’antifascismo, ma l’impegno verso il proprio mestiere. Queste due strade, però, in quell'anno si incrociarono.

Una delle bombe di Turing
Alan Turing, infatti, approdato a Bletchley Park, mise a punto le sue formidabili bombe, ovvero delle macchine in grado di riprodurre la disposizione dei rotori dell'Enigma. Fu aiutato in questo da una incredibile leggerezza dei tedeschi che cifravano con l’Enigma anche le comunicazioni meteo. Bastò così mettere le mani su una stazione di trasmissione (molto meno protetta rispetto agli U -boot ) per farsi un’idea della posizione dei rotori. Le bombe giravano a forte velocità  e, a metà  tra un vorticoso gioco del meccano e un oracolo della cabala, si fermavano nel momento in cui avevano riprodotto il messaggio in codice tedesco.

Alan, ad appena 28 anni, aveva posto così uno specchio dietro le carte del nemico. Uno stratagemma che consentiva alla sua nazione di conoscere le mosse e prevenire le intenzioni dei nazisti con effetti immediati sulla regolarità dei rifornimenti navali e sul risparmio di vite umane. Le bombe funzionavano talmente bene che alcune volta gli inglesi erano costretti a non intervenire per non destare sospetti.
Precauzione inutile, perché i nazisti avevano in Enigma la stessa fede che riponevano nelle spedizioni in Tibet per trovare il luogo in cui il Re del Mondo giocava a nascondino. Fino alla fine della guerra, così, ricorsero all’eterna paranoia dei militari per spiegarsi gli insuccessi nella Manica: il tradimento da parte di qualcuno dei servizi segreti.
Non che l’esercito  inglese fosse più lungimirante con Turing e colleghi. Accettarono di malavoglia e per le pressioni di Churchill che la gerarchia delle intelligenze matematiche si contrapponesse alla loro. E Turing con le sue indolenze, il suo aspetto trasandato, il suo genio era proprio il tipo da rendere pazzi i militari. Una volta decise di imparare l’uso delle armi e partecipò alle esercitazioni della Guardia Civica. Nel compilare il modulo di iscrizione rispose alla domanda: “Vuoi entrare a far parte della Guardai Civica?” con un NO. Nessuno se ne accorse e quando Alan fu soddisfatto della propria perizia col fucile, abbandonò tutti nel pieno rispetto delle regole. 

Con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti le attività di decrittazione persero parte della loro importanza, che era soprattutto difensiva. Era venuto il momento della forza bruta e questo non era congeniale a Turing, né era quello che gli chiedeva la nazione. Adesso l’Inghilterra pretendeva che su tutta l’attività di Bletchley Park permanesse la segretezza, e continuasse la dissimulazione. Un peso che Alan avrebbe portato senza problemi, ma che inevitabilmente si sommava a quello della sua vita privata e che finì per provarlo. Ancora una volta, a guerra finita, ragioni superiori misero in secondo piano il suo merito che rimase ignoto ai più.


Nel dopoguerra Turing fu chiamato a lavorare all’ACE, un primo modello di calcolatore di cui teorizzò le funzioni, insistendo particolarmente sull’importanza del software e del computer come macchina universale. Per dimostrarlo, con il solito suo animo sospeso tra il sofisticato e l’infantile realizzò un programma che generava lettere d’amore e portava spesso l’esempio di un calcolatore in grado di giocare a scacchi. Il progetto si arenò e finì per essere portato su lidi ben lontani da quelli teorizzati da Alan che nel frattempo era stato catturato da un interrogativo inquietante: può una macchina pensare? Ponendo quella domanda Turing nuotava controcorrente. Non voleva, infatti, innalzare le macchine al rango di essere umani, ma ridurre le facoltà umane della ragione a processi logici, basati sui meccanismi di premio e punizione, che anche una macchina potrebbe riprodurre; allo stesso modo di un essere umano che riceve informazioni da un insegnante ed elaborando queste informazioni, apprende. Mentre tutto il mondo lavorava per avere macchinari infallibili e quindi stupidi, Turing teorizzava una macchina fallibile, ma in grado di consapevolezza. Era un modo del tutto originale e pragmatico per sciogliere il nodo delle mille definizioni di intelligenza. Un modo disastroso dal punto di vista commerciale, ma una intuizione da cui pare che le neuroscienze odierne abbiano tratto profitto. Ovviamente si tirò dietro una sfilza di reazioni, soprattutto da filosofi e pensatori credenti,  ma anche dal mondo accademico umanistico. Tutti si fecero scudo con Omero e Shakespeare, ma elusero la questione al fondo della domanda, che ancora oggi rimane aperta. 


Gli interessi di Turing all’inizio degli anni ’50 si erano spostati intanto sulla fisiologia umana, ma era giunto  un momento cruciale della sua esistenza. Nel 1951 mentre passeggia per Manchester nel quartiere degli omosessuali, mise gli occhi su Arnold, un giovanotto molto più giovane di lui e di una classe sociale medio bassa. Se ne innamorò, ma dopo aver trascorso alcune notti in sua compagnia, si accorse che mancavano da casa degli oggetti. Quando decise di denunciare il furto alla polizia, con leggerezza paragonabile a quella dei tedeschi con l’Enigma, ammise anche la propria omosessualità, sottovalutando il fatto che all’epoca questa era considerata una malattia mentale e per la legge addirittura un reato. Finì sotto processo con grande scandalo. Sembrò curarsene poco e si difese a modo suo, dicendosi certo di non aver fatto nulla di male e scrivendo una lettera ad una deputata perché intervenisse a cambiare la legge. A sostegno di questa richiesta portò la circostanza dell’omosessualità del  figlio della stessa rappresentante alla Camera. Non c’è da stupirsi se non ricevette alcuna risposta. Il suo atteggiamento venne preso come una piena confessione (e in fondo lo era) e gli costò una pena inumana: la castrazione chimica che lo rese impotente e gli procurò anche la crescita del seno. Nonostante l’ostracismo che gli riservò buona parte del mondo accademico, in pieno stile Turing, egli non aveva remore nel parlare del processo e continuò a recarsi all’estero per le sue avventure sessuali, classificando i suoi amori su una ironica “scala di Arnold”. Il colpo, però, doveva essere stato forte. Nel giugno del 1954 la governate che lo accudiva in casa lo trovò adagiato composto sul letto. L’ultimo gesto di Alan Turing era stato di una tenerezza commovente e disperata. Come la protagonista della sua favola preferita aveva morso una mela avvelenata nel cianuro di potassio. Con un perfetto inchino, ad appena 42 anni, Turing diceva addio all’innocenza perduta e alle tentazioni della conoscenza. Lasciava gli amici e i parenti a sbrigarsela con l’inesplicabile teorema del proprio suicidio. La madre ne scrisse una tenera biografia in cui la grandezza di Alan appariva solo tramite le parole e le lodi dei suoi professori o di altri matematici famosi. Penosamente, neppure lei ne aveva capito l’originalità.

Il fascino  di Turing e delle sue riflessioni attraversa tutto il XX secolo in maniera molte volte sotterranea. Non è arrivato nessun principe azzurro robot  a svegliarlo dal suo sonno, ma a lui si sono ispirati Kubrick (per l’anno in cui ambientare la sua Odissea nello Spazio e, ovviamente, per il calcolatore HAL) e gli sceneggiatori di Blade Runner  per il test a cui vengono sottoposti i replicanti. L’omaggio più affascinante, tuttavia, è quello che, secondo alcune fonti, ha riservato ad Alan il colosso informatico creato da Steve Jobs, riproponendo su milioni di apparecchi elettronici un logo che ci ricorda l'ultimo gesto di Alan Turing, il primo dei visionari e dei folli nell'era della macchina che vi sta davanti in questo momento.

Fonti, rimandi, ispirazioni e fanatismi:

Il sito di Andrew Hodges: http://www.turing.org.uk/turing/index.html
La pagina di wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Turing
Può una macchina pensare? Discutetene col fake del Capitano Kirk: http://sheepridge.pandorabots.com/pandora/talk?botid=fef38cb4de345ab1&skin=iframe-voice
Il sito del centenario della nascita di Turing: http://www.mathcomp.leeds.ac.uk/turing2012/
Turing e la macchina Enigma: http://critto.liceofoscarini.it/critto/tur.htm

Alan Turing. Una biografia. di Andrew Hodges Ed. Bollati Boringhieri

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