Al famoso convegno su “Letteratura e schizofrenia” c’erano tutti quelli che avevano qualcosa da dire: Salvatore Lombino, Evan Hunter, Ed McBain, Hunt Collins, Ezra Hannon, Richard Marsten, John Abbot e Curt Cannon. Non è stato difficile riunirli tutti: Salvatore Lombino, Evan Hunter, Ed Mc Bain, Hunt Collins, Ezra Hannon, Richard Marsten, John Abbot e Curt Cannon, infatti, sono la stessa persona che negli anni ha assunto una personalità indipendente a seconda del genere letterario prescelto e dell’umore del momento, fino a, qualche volta, sperimentare l’ebbrezza del doppio salto mortale d’identità, cimentandosi in romanzi scritti a quattro mani con il proprio pseudonimo.
Nato sul tavolo della cucina di una casa della Little Italy new yorkese nel 1926, Salvatore Lombino cominciò a circondarsi di una folla di alias a metà degli anni ’50. Da un lato, americano di terza generazione, non si riconosceva nel nome italiano, dall’altro, muovendo i primi passi sul terreno letterario, si rese conto che in anni lontani dalle fascinazioni etniche, nessun editore americano avrebbe pubblicato un libro di un giovane autore a nome Lombino. Scelse di essere Evan Hunter (identità poi assunta legalmente) e, appena ventottenne, pubblicò con grande successo “Il seme della violenza” ispiratogli da una sua esperienza di insegnamento nel Bronx. Sempre come Evan Hunter venne scelto da Hitchcock per la sceneggiatura del film "Gli Uccelli". Una esuberante creatività e la necessità di garantirsi una stabilità economica, tuttavia, lo spinsero a creare un altro se stesso, un suo secondo chiamato Ed Mcbain, col compito di guadagnare soldi scrivendo gialli di tipo poliziesco. Ed Mcbain è quindi un fratello minore di Evan Hunter che si muove nei quartieri meno rispettabili della letteratura, zone in cui Hunter non voleva compromettere la propria fama, ma che finirà per rubare la scena al suo doppio.
Al termine del famoso convegno avreste potuto vederli tutti e due, i più applauditi, andarsene insieme al bar. Evan Hunter in giacca scura e papillon, come se dovesse ritirare l'importante premio letterario che non vincerà mai, Ed McBain comodo nei suoi jeans, nel maglione nero a dolcevita e con un berretto floscio calato sulla testa. Seduti al tavolo del locale si guarderebbero a lungo con gli stessi occhi azzurri (quelli di Hunter più distanti e compassati, più rossi per il fumo ed ironici quelli di Mcbain) prima di offrirsi qualcosa da bere. Un te caldo per lo scrittore di romanzi, una birra per l'autore dei polizieschi. Parlerebbero, ovviamente, di letteratura. McBain sosterrebbe che l'idea di un racconto parte da un cadavere o da qualcuno che sta per diventare tale, Hunter ribatterebbe che prima di tutto la scrittura esige una materia, un argomento da dimostrare. McBain taglierebbe corto: lui quando vuole mandare un messaggio va alla Western Union. Risate da entrambe le parti. Evan Hunter confiderebbe che la cosa più difficile nei suoi romanzi è trovare il titolo, McBain, spavaldo, direbbe che i titoli sono il momento più felice della creazione e che gli piace trovarne che abbiano movimenti in diagonale, che oltrepassano le frontiere di numerosi campi semantici. Dopo diversi bicchieri, Evan Hunter potrebbe persino vantarsi della propria collaborazione con Hitckock e McBain risponderà citando Akira Kurosawa che da un suo libro trasse "Anatomia di un rapimento".
Che i due si piacciano è chiaro, che possano andare veramente d’accordo è impossibile. Ed Mcbain doveva essere una identità schermo per evitare che qualcuno comprasse un libro a firma di Evan Hunter, credendo di trovarvi un colto romanzo tradizionale, per poi scoprire che nella prima pagina c’era un tizio che sfondava la testa di un altro con un’ascia. Ed McBain, invece, diventerà più famoso del suo creatore: più libero nell’uso del linguaggio e nell’inventiva, ma altrettanto meticoloso nello studio su ciò che va scrivendo, con una vena inesauribile regolamentata da una rigida organizzazione del lavoro, esordisce con un contratto per tre storie poliziesche con protagonista una intera squadra investigativa di una immaginaria città statunitense. Il successo gli si arrenderà a mani alte, spaventato a morte da importanti innovazioni al genere: niente più delitti la cui risoluzione è affidati a solitari cavalieri di ventura (“l’ultima volta che un privato ha risolto un omicidio non c’è mai stata”) e nemmeno astute vecchiette dai capelli turchini che risolvono enigmi a colpi di bacchetta magica deduttiva, ma un pugno di virili cavalieri seduti ad una scrivania rotonda, che impugnano come un’Excalibur tazze di caffè nero americano, al nobile cospetto dello schedario criminale. A questa Camelot metropolitana e meticcia Ed Mc Bain mise il nome di 87° Distretto e lo collocò in una grande città immaginaria e senza nome che ricalca, con una rotazione di 90° gradi, la pianta dell’amata New York.
Fu subito chiaro che qualcosa nel modo di intendere il poliziesco stava cambiando per sempre. Mcbain si opponeva ai clichè dei poliziotti bianchi ed irlandesi e alla rassicurante caratterizzazione dell’investigatore come unico protagonista. Il protagonista dei suoi gialli è l’intera squadra investigativa senza che un personaggio prevalga sull’altro. Lo svolgimento della trama è affidato alle regole che determinano la vita di una caserma: la morte, il caso, il tradimento, gli informatori, l'attività scientifica, i conflitti a fuoco. E dove la procedura non è residuale assenza di arte e sentimenti, ma alfabeto e cifra, quasi metafisica, dell'essere poliziotti.
Mcbain incominciò a descrivere la routine del lavoro di polizia in maniera impeccabile, consolidando e dando fama al police procedural (definizione che non amava). Introdurrà anche alcune novità grafiche nei suoi mistery, come la riproduzioni di identikit e di passaporti, i rapporti di polizia battuti a macchina (con tanto di correzioni a penna), persino la riproduzione delle mani dei sordomuti che dialogano nel linguaggio dei segni.
Ho letto l’ultimo Ed Mcbain più di 20 anni fa, ma i ragazzi dell’87° distretto, vincitori non invincibili, me li ricordo ancora come ricordo quelli della A.S. Roma del 1983. Li comandava il tenente Peter Byrnes, ma tutti consideravano il loro fratello maggiore il detective ebreo Mayer Mayer, che per sopportare le ironie dovute al curioso doppio nome, imparò la pazienza e perse tutti i capelli. Nulla in confronto a quello che rischiò di perdere quando il padre, ormai anziano e convinto di essersi lasciato alle spalle pannolini e nasi che colavano, lo presentò alla circoncisione con tutto il suo spirito yddish, scandendone l'immutabile generalità. L'agente più presente nei romanzi è, tuttavia, Steve Carrella: italoamericano, sposato con Teddy, una ragazza sordomuta (altra rivoluzione in anni in cui l'handicap era trattato al massimo con pietà e in ruoli marginali) e padre di due gemelli, è il prototipo del poliziotto onesto che svolge un lavoro brutale con umanità. Curiosamente nelle prime edizioni italiane dei romanzi di McBain il suo nome venne americanizzato in Carrell, in un'ulteriore dimostrazione del processo di rimozione che l’esperienza migratoria italiana ha subito in patria e di persistenza degli stereotipi polizieschi, per cui un detective italoamericano era difficilmente presentabile al lettore medio. Suo malgrado Carrella è diventato il protagonista principale dei mistery dell’87°. In pochi sanno che il suo autore, al terzo romanzo e in omaggio al principio che la serie avrebbe avuto un protagonista collettivo e non singolo, aveva deciso di farlo morire. E fu solo per le pressioni del suo editore che McBain lo riportò in vita, cambiando semplicemente l’ultima riga del romanzo. Al redivivo Carrella si affiancheranno Bert Kling, il più giovane del distretto, reduce della Guerra di Corea e da amori sfortunatissimi, Cotton Hawes caratterizzato dai capelli rossi su cui spicca un ciuffo bianco lasciatogli in ricordo da una coltellata, la donna poliziotto Eillen Burke, Arthur Brown ironicamente nero di nome e di fatto e Roger Havilland, l’agente corrotto e razzista che McBain uccise nei primissimi romanzi, capendo di aver commesso un errore gigantesco nell'economia dei suoi racconti e facendo subito reincarnare lo spirito di Havilland nell’agente Andy Parker, disgustoso e necessario come il suo predecessore. Non mancano i personaggi di contorno e il Sordo, un brillante ed inafferrabile cattivo alla Joker. Ma protagonista è soprattutto la città senza nome con i suoi quartieri (Isola, in italiano anche nell'originale, è quello dove si muovono gli agenti), la sua straziante bellezza condotta al ballo dalla primavera o resa fosca dal nevischio invernale, i suoi delitti commessi nell'abbagliante lusso di un attico o sotto le luci oblique dei sobborghi, le sue festose ironie, i desideri più cupi, le storie che si avvicendano nell'immenso parco degli innamorati e degli spacciatori, le rive del grande fiume che la attraversa, i riverberi inutilmente festosi delle sale gioco e dei casini, le auto della polizia che si allungano nella notte portando giustizia ad effetto doppler. Mai un autore di polizieschi aveva concesso ad un luogo una tale rilevanza. A prendere per mano i lettori - visitatori, infine, compare un ulteriore personaggio che, con bilanciatissimo azzardo, viene usato in maniera appariscente, ossia un narratore onnisciente che non prende parte alle vicende narrate, ma assume il punto di vista della città stessa, di cui è un devoto suddito e come lei è ironico, disincantato, materno e figlio di puttana fino al punto da raccontarci quale è la sensazione che si prova quando un setto nasale va in frantumi, quali pensieri attraversano la mente di un moribondo, per quali percorsi un uomo può perdere la fede in Dio. E se gli va è capace di distrarsi per seguire per tutto un romanzo i pensieri di un assassino solitario e tormentato, che non verrà mai arrestato.
Si potrebbe ancora continuare dicendo che nei polizieschi dell'87° la microstruttura sociale della caserma diviene paradigma dell’intera macrostruttura sociale. Che McBain ha saputo presagire nella filigrana delle sue opere i segni dell’imbarbarimento metropolitano: l’estremismo religioso, le droghe, le bande giovanili, la corruzione, la violenza che diventa sempre più pervasiva, il male che piano piano prende il sopravvento e che non necessariamente l'indagine riesce a riportare nel suo alveo. Ma ho in mente quella faccenda del messaggio e della Western Union. Sento già il fiato dietro il collo di uno degli agenti dell’87° che mi recita una versione ad hoc della Miranda Escobedo: "Hai il dovere di restare in silenzio. Qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale." E allora, saggiamente, mi taccio e torno al bar dove, intanto, Evan Hunter, lo scrittore dalle grandi ambizioni letterarie ed Ed Mcbain, rimasto stritolato nella definizione di giallista, hanno deciso di alzarsi. Diranno di segnare sul conto dell’illustre signor Hunt Collins, o del danaroso Ezra Hannon o di quella vecchia sagoma di Richard Marsten. Salvatore Lombino no, i pregiudizi etnici sono duri a morire.
All’avventore che li ha sentiti chiacchierare di letteratura e che domandava cosa considerassero essenziale per uno scrittore, risposero all’unisono: "Una testa e un cuore. E per favore, per favore, non dimenticate il cuore."
Il cuore di Ed Mcbain ha cessato di battere nel 2005 e con lui hanno finito il loro servizio nella letteratura poliziesca tutti i ragazzi dell'87° distretto. Tornano a casa smontando dai loro turni, raccontando alle mogli, alle amanti, ai figli, ad un bicchiere vuoto, le loro lotte, armati di decenza ed umanità, contro un mondo sempre più dolente. Ci vorrebbe l'insuperabile narratore onnisciente che abitava la città, per raccontarci cosa ha provato la folla di alias dell'ex Salvatore Lombino in quell’Altrove dove, dicono, le moltitudini dell'Io ritornano all’Uno, sopraffatte da una Forza portentosa che, sospettiamo, in questo caso avrà avuto il suo bel da fare.
Nato sul tavolo della cucina di una casa della Little Italy new yorkese nel 1926, Salvatore Lombino cominciò a circondarsi di una folla di alias a metà degli anni ’50. Da un lato, americano di terza generazione, non si riconosceva nel nome italiano, dall’altro, muovendo i primi passi sul terreno letterario, si rese conto che in anni lontani dalle fascinazioni etniche, nessun editore americano avrebbe pubblicato un libro di un giovane autore a nome Lombino. Scelse di essere Evan Hunter (identità poi assunta legalmente) e, appena ventottenne, pubblicò con grande successo “Il seme della violenza” ispiratogli da una sua esperienza di insegnamento nel Bronx. Sempre come Evan Hunter venne scelto da Hitchcock per la sceneggiatura del film "Gli Uccelli". Una esuberante creatività e la necessità di garantirsi una stabilità economica, tuttavia, lo spinsero a creare un altro se stesso, un suo secondo chiamato Ed Mcbain, col compito di guadagnare soldi scrivendo gialli di tipo poliziesco. Ed Mcbain è quindi un fratello minore di Evan Hunter che si muove nei quartieri meno rispettabili della letteratura, zone in cui Hunter non voleva compromettere la propria fama, ma che finirà per rubare la scena al suo doppio.
Al termine del famoso convegno avreste potuto vederli tutti e due, i più applauditi, andarsene insieme al bar. Evan Hunter in giacca scura e papillon, come se dovesse ritirare l'importante premio letterario che non vincerà mai, Ed McBain comodo nei suoi jeans, nel maglione nero a dolcevita e con un berretto floscio calato sulla testa. Seduti al tavolo del locale si guarderebbero a lungo con gli stessi occhi azzurri (quelli di Hunter più distanti e compassati, più rossi per il fumo ed ironici quelli di Mcbain) prima di offrirsi qualcosa da bere. Un te caldo per lo scrittore di romanzi, una birra per l'autore dei polizieschi. Parlerebbero, ovviamente, di letteratura. McBain sosterrebbe che l'idea di un racconto parte da un cadavere o da qualcuno che sta per diventare tale, Hunter ribatterebbe che prima di tutto la scrittura esige una materia, un argomento da dimostrare. McBain taglierebbe corto: lui quando vuole mandare un messaggio va alla Western Union. Risate da entrambe le parti. Evan Hunter confiderebbe che la cosa più difficile nei suoi romanzi è trovare il titolo, McBain, spavaldo, direbbe che i titoli sono il momento più felice della creazione e che gli piace trovarne che abbiano movimenti in diagonale, che oltrepassano le frontiere di numerosi campi semantici. Dopo diversi bicchieri, Evan Hunter potrebbe persino vantarsi della propria collaborazione con Hitckock e McBain risponderà citando Akira Kurosawa che da un suo libro trasse "Anatomia di un rapimento".
Evan Hunter ed Ed McBain |
Che i due si piacciano è chiaro, che possano andare veramente d’accordo è impossibile. Ed Mcbain doveva essere una identità schermo per evitare che qualcuno comprasse un libro a firma di Evan Hunter, credendo di trovarvi un colto romanzo tradizionale, per poi scoprire che nella prima pagina c’era un tizio che sfondava la testa di un altro con un’ascia. Ed McBain, invece, diventerà più famoso del suo creatore: più libero nell’uso del linguaggio e nell’inventiva, ma altrettanto meticoloso nello studio su ciò che va scrivendo, con una vena inesauribile regolamentata da una rigida organizzazione del lavoro, esordisce con un contratto per tre storie poliziesche con protagonista una intera squadra investigativa di una immaginaria città statunitense. Il successo gli si arrenderà a mani alte, spaventato a morte da importanti innovazioni al genere: niente più delitti la cui risoluzione è affidati a solitari cavalieri di ventura (“l’ultima volta che un privato ha risolto un omicidio non c’è mai stata”) e nemmeno astute vecchiette dai capelli turchini che risolvono enigmi a colpi di bacchetta magica deduttiva, ma un pugno di virili cavalieri seduti ad una scrivania rotonda, che impugnano come un’Excalibur tazze di caffè nero americano, al nobile cospetto dello schedario criminale. A questa Camelot metropolitana e meticcia Ed Mc Bain mise il nome di 87° Distretto e lo collocò in una grande città immaginaria e senza nome che ricalca, con una rotazione di 90° gradi, la pianta dell’amata New York.
Fu subito chiaro che qualcosa nel modo di intendere il poliziesco stava cambiando per sempre. Mcbain si opponeva ai clichè dei poliziotti bianchi ed irlandesi e alla rassicurante caratterizzazione dell’investigatore come unico protagonista. Il protagonista dei suoi gialli è l’intera squadra investigativa senza che un personaggio prevalga sull’altro. Lo svolgimento della trama è affidato alle regole che determinano la vita di una caserma: la morte, il caso, il tradimento, gli informatori, l'attività scientifica, i conflitti a fuoco. E dove la procedura non è residuale assenza di arte e sentimenti, ma alfabeto e cifra, quasi metafisica, dell'essere poliziotti.
Mcbain incominciò a descrivere la routine del lavoro di polizia in maniera impeccabile, consolidando e dando fama al police procedural (definizione che non amava). Introdurrà anche alcune novità grafiche nei suoi mistery, come la riproduzioni di identikit e di passaporti, i rapporti di polizia battuti a macchina (con tanto di correzioni a penna), persino la riproduzione delle mani dei sordomuti che dialogano nel linguaggio dei segni.
Ho letto l’ultimo Ed Mcbain più di 20 anni fa, ma i ragazzi dell’87° distretto, vincitori non invincibili, me li ricordo ancora come ricordo quelli della A.S. Roma del 1983. Li comandava il tenente Peter Byrnes, ma tutti consideravano il loro fratello maggiore il detective ebreo Mayer Mayer, che per sopportare le ironie dovute al curioso doppio nome, imparò la pazienza e perse tutti i capelli. Nulla in confronto a quello che rischiò di perdere quando il padre, ormai anziano e convinto di essersi lasciato alle spalle pannolini e nasi che colavano, lo presentò alla circoncisione con tutto il suo spirito yddish, scandendone l'immutabile generalità. L'agente più presente nei romanzi è, tuttavia, Steve Carrella: italoamericano, sposato con Teddy, una ragazza sordomuta (altra rivoluzione in anni in cui l'handicap era trattato al massimo con pietà e in ruoli marginali) e padre di due gemelli, è il prototipo del poliziotto onesto che svolge un lavoro brutale con umanità. Curiosamente nelle prime edizioni italiane dei romanzi di McBain il suo nome venne americanizzato in Carrell, in un'ulteriore dimostrazione del processo di rimozione che l’esperienza migratoria italiana ha subito in patria e di persistenza degli stereotipi polizieschi, per cui un detective italoamericano era difficilmente presentabile al lettore medio. Suo malgrado Carrella è diventato il protagonista principale dei mistery dell’87°. In pochi sanno che il suo autore, al terzo romanzo e in omaggio al principio che la serie avrebbe avuto un protagonista collettivo e non singolo, aveva deciso di farlo morire. E fu solo per le pressioni del suo editore che McBain lo riportò in vita, cambiando semplicemente l’ultima riga del romanzo. Al redivivo Carrella si affiancheranno Bert Kling, il più giovane del distretto, reduce della Guerra di Corea e da amori sfortunatissimi, Cotton Hawes caratterizzato dai capelli rossi su cui spicca un ciuffo bianco lasciatogli in ricordo da una coltellata, la donna poliziotto Eillen Burke, Arthur Brown ironicamente nero di nome e di fatto e Roger Havilland, l’agente corrotto e razzista che McBain uccise nei primissimi romanzi, capendo di aver commesso un errore gigantesco nell'economia dei suoi racconti e facendo subito reincarnare lo spirito di Havilland nell’agente Andy Parker, disgustoso e necessario come il suo predecessore. Non mancano i personaggi di contorno e il Sordo, un brillante ed inafferrabile cattivo alla Joker. Ma protagonista è soprattutto la città senza nome con i suoi quartieri (Isola, in italiano anche nell'originale, è quello dove si muovono gli agenti), la sua straziante bellezza condotta al ballo dalla primavera o resa fosca dal nevischio invernale, i suoi delitti commessi nell'abbagliante lusso di un attico o sotto le luci oblique dei sobborghi, le sue festose ironie, i desideri più cupi, le storie che si avvicendano nell'immenso parco degli innamorati e degli spacciatori, le rive del grande fiume che la attraversa, i riverberi inutilmente festosi delle sale gioco e dei casini, le auto della polizia che si allungano nella notte portando giustizia ad effetto doppler. Mai un autore di polizieschi aveva concesso ad un luogo una tale rilevanza. A prendere per mano i lettori - visitatori, infine, compare un ulteriore personaggio che, con bilanciatissimo azzardo, viene usato in maniera appariscente, ossia un narratore onnisciente che non prende parte alle vicende narrate, ma assume il punto di vista della città stessa, di cui è un devoto suddito e come lei è ironico, disincantato, materno e figlio di puttana fino al punto da raccontarci quale è la sensazione che si prova quando un setto nasale va in frantumi, quali pensieri attraversano la mente di un moribondo, per quali percorsi un uomo può perdere la fede in Dio. E se gli va è capace di distrarsi per seguire per tutto un romanzo i pensieri di un assassino solitario e tormentato, che non verrà mai arrestato.
Evan Hunter con Alfred Hitchcock |
Si potrebbe ancora continuare dicendo che nei polizieschi dell'87° la microstruttura sociale della caserma diviene paradigma dell’intera macrostruttura sociale. Che McBain ha saputo presagire nella filigrana delle sue opere i segni dell’imbarbarimento metropolitano: l’estremismo religioso, le droghe, le bande giovanili, la corruzione, la violenza che diventa sempre più pervasiva, il male che piano piano prende il sopravvento e che non necessariamente l'indagine riesce a riportare nel suo alveo. Ma ho in mente quella faccenda del messaggio e della Western Union. Sento già il fiato dietro il collo di uno degli agenti dell’87° che mi recita una versione ad hoc della Miranda Escobedo: "Hai il dovere di restare in silenzio. Qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale." E allora, saggiamente, mi taccio e torno al bar dove, intanto, Evan Hunter, lo scrittore dalle grandi ambizioni letterarie ed Ed Mcbain, rimasto stritolato nella definizione di giallista, hanno deciso di alzarsi. Diranno di segnare sul conto dell’illustre signor Hunt Collins, o del danaroso Ezra Hannon o di quella vecchia sagoma di Richard Marsten. Salvatore Lombino no, i pregiudizi etnici sono duri a morire.
All’avventore che li ha sentiti chiacchierare di letteratura e che domandava cosa considerassero essenziale per uno scrittore, risposero all’unisono: "Una testa e un cuore. E per favore, per favore, non dimenticate il cuore."
Il cuore di Ed Mcbain ha cessato di battere nel 2005 e con lui hanno finito il loro servizio nella letteratura poliziesca tutti i ragazzi dell'87° distretto. Tornano a casa smontando dai loro turni, raccontando alle mogli, alle amanti, ai figli, ad un bicchiere vuoto, le loro lotte, armati di decenza ed umanità, contro un mondo sempre più dolente. Ci vorrebbe l'insuperabile narratore onnisciente che abitava la città, per raccontarci cosa ha provato la folla di alias dell'ex Salvatore Lombino in quell’Altrove dove, dicono, le moltitudini dell'Io ritornano all’Uno, sopraffatte da una Forza portentosa che, sospettiamo, in questo caso avrà avuto il suo bel da fare.
Sono sempre in obbligo con mio padre che, dopo Nero Wolfe, mi consegnò ai dinamici detective di Isola. Così si osservava in me lo contrappasso. Con questo post, tuttavia, voglio ringraziare Michele, Pippo e Sergio che sono sempre molto affettuosi con questo blog ed il suo autore. Comunico loro che sull’inspiegabile caso è già al lavoro l'intero 87° Distretto.
Fonti, rimandi, ispirazioni e fanatismi:
Il sito ufficiale di Ed McBain
Gli imperdibili:
Attentato Carrella
Due colpi in uno
Chiamate Frederick 7-8024
Tutto regolare, mamma
Gioco di pazienza per l'87° Distretto
87° Distretto tutti presenti
Ghiaccio per l'87° Distretto
L'ho scoperto solo ora ma cercherò di leggere tutto ciò che ha scritto. Ha un modo di scrivere molto simpatico.
RispondiEliminaDavvero piacevole e non banale. Consigliatissimo, almeno per quanto riguarda l'87° distretto.
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