Quando un fumetto con la pistola incontra un fumetto con un lungo fucile non stiamo per entrare in un cinema che ripropone un vecchio film di Sergio Leone, ma nella storia delle strisce italiane. È il 1977 quando nelle edicole appare un nuovo personaggio di casa Bonelli. Si chiama Ken Parker ed è un biondo e barbuto scout dell’esercito, sceneggiato da Giancarlo Berardi e disegnato da Ivo Milazzo. Si presenta ai suoi lettori armato di un vecchio fucile Kentucky ad un solo colpo che giustifica così: “Io caccio animali, non uomini. E poi, un colpo preciso, a volte, vale di più di una mitraglia”. Per questa sua arma fuori moda, ma precisissima, gli indiani lo soprannomineranno Lungo fucile.
L’impresa a cui si accingeva Ken Parker era quasi disperata. Nella seconda metà degli anni ’70 il western sembrava aver ormai detto tutto di sé: le diligenze avevano attraversato con sempre meno emozioni i territori indiani, i vecchietti avevano riso sdentati di fronte a decine di duelli, i sognatori che progettavano il futuro davanti al fuoco del bivacco erano stati regolarmente colpiti da una freccia Apache e il Settimo Cavalleggeri era arrivato regolarmente all'ultimo istante per salvare donne e bambini dai musi rossi. Poi, stanchi come dopo una lunga cavalcata nei deserti polverosi ed assetati di novità e conquiste, erano arrivati nei territori dell’ovest i pistoleri senza nome, Henry Fonda cattivissimo, Gianmaria Volontè strafatto, Mario Brega con la barba unta, il Settimo Cavalleggeri che massacrava donne e bambini tra i nativi americani e se qualcuno incontra Sartana gli dica che persino John Wayne può essere preso a pistolettate da un cancro.
L’impresa a cui si accingeva Ken Parker era quasi disperata. Nella seconda metà degli anni ’70 il western sembrava aver ormai detto tutto di sé: le diligenze avevano attraversato con sempre meno emozioni i territori indiani, i vecchietti avevano riso sdentati di fronte a decine di duelli, i sognatori che progettavano il futuro davanti al fuoco del bivacco erano stati regolarmente colpiti da una freccia Apache e il Settimo Cavalleggeri era arrivato regolarmente all'ultimo istante per salvare donne e bambini dai musi rossi. Poi, stanchi come dopo una lunga cavalcata nei deserti polverosi ed assetati di novità e conquiste, erano arrivati nei territori dell’ovest i pistoleri senza nome, Henry Fonda cattivissimo, Gianmaria Volontè strafatto, Mario Brega con la barba unta, il Settimo Cavalleggeri che massacrava donne e bambini tra i nativi americani e se qualcuno incontra Sartana gli dica che persino John Wayne può essere preso a pistolettate da un cancro.
Le copertine in acquarello di Milazzo, ad esempio, ora languide, ora epiche, si distendono ad occupare anche il dorso e la quarta di copertina degli albi, mentre i territori di caccia preferiti da Ken Parker sono quelli freddi del Montana e del Wyoming. Nel breve volgere di qualche numero, poi, Berardi e Milazzo si sganciano da ogni elemento di banalità, cedendo soltanto alla richiesta di Bonelli che pretendeva un protagonista sbarbato. Scompaiono, ad esempio, le tradizionali didascalie di raccordo fra le scene, rendendo la narrazione più dinamica e cinematografica. Milazzo riproduce nelle sue chine alcuni movimenti di macchina come la carrellata ad ingrandire o il rallentatore, mentre il raccordo di vignette che si alternano per contrasto o rimando simulano gli effetti che nel cinema sono riservati al montaggio.
Oltre ai ferri del mestiere, però, sono soprattutto le tematiche con cui Ken Parker si misura nelle sue avventure a rivelarsi innovative per il genere. I suoi rapporti con le popolazioni che abitavano l’America precolombiana, ad esempio, spaziano dalle tribù di pellerossa agli inuit dell’Alaska. A tutti si accosta con curiosità e rispetto da antropologo. E se è evidente che gli autori abbracciano la causa degli indiani d’America, condannando il genocidio su cui si è costruito il mito della conquista, è ammirevole l’onestà di rappresentare anche gli aspetti più crudeli e spietati dei pellerossa, rifuggendo qualsiasi tentazione mitizzante. Questo scarto dalle situazioni tipiche del lontano ovest diventa divertito metafumetto nell'albo "Uomini, bestie ed eroi" in cui Ken Parker si trova nel saloon "Heroe’s rest" ("Il riposo dell’eroe") in cerca di cow boys da ingaggiare per condurre una mandria. Lungo fucile incontrerà i propri autori che gli mostreranno i personaggi a fumetti che lo hanno preceduto: dal capostipite Kit Carson al coreografico Pecos Bill (“se lo mettete di scorta a una mandria, come minimo ve ne schiatta la metà dalle risate”), passando per Zagor in versione modello Dolce & Gabbana ante litteram, l'improbabile Piccolo Sceriffo, Cocco Bill e, ovviamente, Tex Willer e i suoi pard che si producono in una scazzottata epica col gestore del saloon, mentre il Berardi fumetto sconsiglia l’ingaggio di quei quattro perché “ogni mese hanno da sbrigare un milione di faccende”.
La critica si accorge del fenomeno Ken Parker e da più parti grida al miracolo. Anche il pubblico, se pur non numerosissimo, è conquistato dal personaggio e dal suo west dalle coloriture colte, ma popolari. In una intervista Berardi rivendica questa implicita attitudine pop: “Quel tipo di scelta che sta a monte di Ken Parker è il fatto di rendere il discorso comprensibile alla maggior parte del pubblico - è un'idea populista se vogliamo - ma nello stesso tempo contrabbandare gli stessi contenuti che possono esserci nelle riviste di fumetti d’autore. Non è necessario rendere una storia incomprensibile per dire cose importanti. Questo è il punto".
Nella sua evoluzione di personaggio Ken svolgerà decine di mestieri e si immergerà nel fiume dell'umanità più varia, ma per la sua formazione risulterà fondamentale l’incontro con la cultura che diventa, assieme alla natura, l'unica vera garanzia di libertà. Se in uno dei primi numeri ammette di sapere leggere e scrivere a stento, nel corso della serie si innamorerà dei libri. Leggerà Marx e verrà posto da Milazzo a capo di una memorabile copertina che riprende il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, sarà avido lettore di Poe, Di Whitman, di Shakespeare, leggerà i quotidiani e diventerà scrittore.
Per mantenere l’alta qualità della serie, Berardi e Milazzo furono costretti a non rispettare la cadenza mensile dell’albo e gli ultimi numeri tardarono parecchio prima di apparire nelle edicole. Col numero 59, a metà anni '80, Ken Parker chiuse i battenti e si trasferì su altre riviste, con alterne vicende editoriali e di pubblico, ma senza rinnegare un certo sperimentalismo (alcune sue avventure, addirittura, saranno prive di ballon) e un gusto per la citazione pittorica e cinematografica. L’ultima sua avventura risale ormai a quasi 15 anni fa e vede Ken rinchiuso ingiustamente in prigione. Da dietro le sbarre, però, il nostro eroe aveva già additato la strada del successo ad altri personaggi di qualità della editrice Bonelli (come Dylan Dog o Martin Mystere)
Grazie a mio papà cui devo, tra l'altro, Ken Parker.
fonti, rimandi, fanatismi ed ispirazioni:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ken_Parker
http://www.ubcfumetti.com/data/berardi.htm
http://www.ubcfumetti.com/data/milazzo.htm
http://www.ubcfumetti.com/kenparker/
http://www.cartonionline.com/personaggi/ken_parker_01.htm
http://chemako-comics.blogspot.com/
http://rbottazzi.altervista.org/aakp.htm
http://www.facebook.com/pages/Ken-Parker/31553722772
Complimenti, il più bel pezzo che abbia letto sul più bel fumetto che abbia mai letto!
RispondiEliminaGrazie, sono molto felice di questo apprezzamento.
RispondiEliminaSo long!